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Perchè tanta fretta


 Un pensiero personale: perché tanta fretta?


C’ è una domanda precisa, riferita ai temi concernenti i Settori Giovanili di calcio, sulla quale mi interrogo costantemente.

Ma più ci penso più non mi so dare una risposta: o meglio, più cerco di rispondermi più mi allontano da un’ opinione plausibile e che abbia un briciolo di logica o di senno.

La domanda è: “Perché c’ è sempre così tanta fretta in un Settore Giovanile di calcio”.

Riformulandola e specificando meglio: “Perché quasi sempre manca la pazienza di attendere i risultati del proprio lavoro con i bambini e con i giovani in genere?”

Con più crudezza: “Perché, in sostanza, vogliamo veder invecchiare i nostri bambini prima del tempo?”

La prima risposta che –di getto- ci si potrebbe dare è la seguente: “Perché si vogliono ottenere subito dei responsi in termini numerici e marcatamente visibili anche in questo campo, come è tendenza comune in moltissime attività della nostra vita sociale ed economica in genere negli anni che stiamo vivendo”. In altri termini: “In un qualsiasi contesto, qualsiasi input io fornisca, esso deve essere in grado di produrmi rapidamente un output che giustifichi quanto fatto in termini di energia spesa per fornire l’ input”.

La nostra vita oggi si misura in termini di performance: sempre, o quasi. Questo è innegabile: che ciò sia positivo o negativo non fa parte dei nostri intenti stabilire, né tanto meno vogliamo dettagliare a questo riguardo in questa sede. Ma la cosa ci pare davvero indubitabile, con rarissime oasi di scostamento dal concetto del rendimento come fatto assoluto e prioritario.

Questa è una realtà: probabilmente costruita dalla società del terzo millennio, poco umana e naturale –per così dire- ma è pur sempre una realtà. Ed è talmente vera che chi non vi si adegua spesso è costretto a pagarne delle conseguenze, anche in termini di benessere personale.

Fra tante oggettività riferite a molti aspetti della nostra vita ce n’è però un’ altra, la più forte di tutte, imbattibile: ci riferiamo a quella delle leggi della natura, contro le quali anche l’ uomo più performante spessissimo non ha scampo e deve alzare bandiera bianca.

Quando si lavora con i giovani in qualsiasi campo -ed anche in questo caso ove si parla di calcio- non è ammessa la fretta. La performance dei bambini non esiste. E’ Madre Natura che ce lo dice, non è l’ opinione di questo o quel pur eccellente tecnico sportivo.

L’ umana natura ha peculiarità che non possiamo confondere con altre: il bambino appena nato non impara a parlare dopo pochi giorni solo perché tutti attorno a lui dialogano, va a gattoni perché inizia ad acquisire autonomia ma non sa alzarsi in piedi come mamma e papà, non impara poi a camminare solo perché i genitori glielo hanno mostrato per un anno intero. Poi –più tardi- non riuscirà a padroneggiare una gestualità tecnica qualsiasi fino a che non l’ avrà egli stesso percepita, sperimentata, vissuta, interiorizzata ed applicata. Oppure –ancora- non sarà capace di gestire efficacemente il suo comportamento generale in campo in rapporto al gioco ed al contesto fino a che la sua personalità non sarà stata sostenuta dal passare degli anni e forgiata dalle fasi della crescita.

Solo degli esempi fra i cento possibili: ci vuole tempo. Ci vuole il tempo che l’ essere uomo (o donna) ci chiede nel passaggio dal cucciolo al bambino, al giovane ed –infine- all’ adulto. Ci vuole il tempo che siamo sempre più abituati a non avere, la pazienza che manca sempre più alle nuove generazioni, la “strana saggezza” che fa sembrare delle mosche bianche persone di solo normalissimo buon senso e competenza in termini educativi e di formazione dei giovani.

Vogliamo capire che ogni gara di forzatura contro la natura umana, a lungo andare è una gara persa?

Vogliamo capire che il soggetto assoluto ed unico siamo noi persone; o meglio, i nostri figli a cui vogliamo dare tutto, subito, senza pensare che devono prima poter avere le manine per afferrare o l’ intelletto per comprendere cosa siano in effetti quelle ricchezze che vorremmo consegnare loro?

Vogliamo capire che possiamo contribuire a forgiare dei geni precoci ed incompresi, dei piccoli adulti condizionati e saturi di informazioni poco comprensibili senza la naturale gradualità e l’ efficacia della crescita che solo la soggettività individuale possono fornire?

Vogliamo capire che noi adulti facciamo dei danni smisurati se vogliamo pesare con i nostri parametri il mondo dei bambini?

Vogliamo capire che la fretta non giova quasi mai al bambino, né ha effettive possibilità di successo sul lungo termine?

Vogliamo capire che impoveriamo l’ infanzia in profondità se desideriamo poter dire al collega d’ ufficio che il nostro figliolo ieri ha fatto 3-4 goals ad un portierino che mai avrebbe potuto parare quei tiri perché ora è troppo piccolo?

Vogliamo capire che quello stesso piccolo portierino forse fra 10 anni giocherà ai livelli di eccellenza ove avremmo bramato (anzi ne eravamo certi) potesse arrivare nostro figlio, il quale invece è già 5 anni che non gioca più perché adesso tutti quei goal non è più capace di segnarli e, non essendo stato abituato a capire le difficoltà, si è stufato di giocare ed ora frequenta compagnie di amici che non ci piacciono per nulla?

Insomma, chi lavora seriamente nel Settore Giovanile deve capire che esso serve a dare basi, non a raccogliere risultati: deve servire a questo e non può oggettivamente servire ad altro.

Chi cerca soddisfazioni in un Settore Giovanile deve comprendere che esse consistono nel vedere che il ragazzo percorre i gradini della crescita poggiandosi saldamente su quello precedente prima di salire sul successivo ed avendo nel mirino quello ancora più in alto, con una tempistica dettata solo in parte dall’ istruttore.

L’ auspicio è quello di non vedere ancora a lungo allenamenti di tattica di reparto a secco con bambini di 10 anni. O lunghe sedute di palle inattive con l’ istruttore a calciare, con bambini che sono dei paletti in area di rigore, hanno paura del contatto con una palla aerea che quasi mai arriverà a destinazione quando la calceranno loro e che mai impatteranno anche perché non riescono a valutarne bene la traiettoria.

L’ auspicio è quello di non sentirsi più rispondere da un istruttore o da un dirigente di Società che l’ obiettivo stagionale è quello di vincere quel tale campionato Pulcini, che su quella finalità si imposta il lavoro e per quello scopo si trattengono a forza e con ogni mezzo ragazzini che invece meriterebbero contesti più qualificati.

Un lavoro così è quasi sempre inutile per il bambino e certamente non lo fa crescere come dovrebbe: chi guiderà quei bambini qualche anno dopo di sicuro non potrà giovarsi del lavoro di diagonali e doppie linee di copertura o di blocchi, veli e contro-movimenti che quel tecnico “vincente” avrà svolto in precedenza, solo per sé stesso, la sua fretta di cercare l’ impossibile e la sua inetta preparazione di fondo nel lavoro con i bambini.

Ed anche qualora si vincesse quel campionato Pulcini? Vincere i Pulcini deve far piacere solo ai bambini. Intendiamoci: vincere è sempre bello, fa sempre piacere a tutti e va ricercato senza dubbio in ogni minuto del gioco. Ma facendo le cose giuste e solo quelle, anche per arrivare ultimi, se non può essere diversamente. Le soddisfazioni devono essere altre.

Come definire quell’ istruttore che vive sempre del ricordo di quell’ esaltante vittoria in quella memorabile stagione Pulcini, anche ora che molti di quei suoi bimbi non riescono più a proseguire nelle categorie superiori con soddisfazione o addirittura non giocano più? La definizione di costui non può che essere poco lusinghiera!

Ancora: l’ auspicio è quello di poter parlare con dei genitori sensibilizzandoli sulla necessità primaria di trovare dovunque nei primi anni un bravo istruttore per il loro figlio. Non dover invece spendere ore ed ore a convincere persone impazienti ed ansiose ad attendere che il proprio talentuosissimo piccolino finisca di succhiarsi il dito e sia capace di legarsi le scarpe prima di mirare alle giovanili del Milan o dell’ Inter, o della Juve o … dell’ Ascoli Calcio! Per questo ci sarà il tempo, semmai.

Ma di che cosa stiamo parlando? Di che cosa stanno parlando costoro? La contraddizione è evidente su tutta la linea.

I conti globali in un Settore Giovanile si fanno a 17-18 anni, mai prima. In quel momento si tira una riga e si valuta: quasi sempre il bilancio è il frutto di tutto il lavoro iniziato 10 anni prima, anno per anno, momenti in cui si fanno solo delle somme parziali. Chi ci sa fare davvero riesce a capire molto bene dove ci sono stati i buchi creati da chi voleva solo vincere i campionati e basta; così come riesce a capire l’ eccellente valore del lavoro fatto sei o sette anni prima in quel preciso momento dello sviluppo.

Allora: “Perché tanta fretta?”, ci richiediamo. Non solo è inutile, ma è addirittura insensato.

Fino a che non capiremo bene tutto ciò la fretta degli adulti rovinerà molti dei nostri bambini che fanno calcio ed un buon Settore Giovanile rimarrà ancora un obiettivo da inseguire.


Marco Stoini

 Direttore Tecnico Ascoli Soccer Academy

Pubblicato da A.S.D. San Luigi

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